La fine (ma non del cristianesimo)

Apparentemente, è inutile prendersi in giro: la Chiesa, e la società cristiana con lei, sta morendo. Devastata da scandali, da apostati che hanno confuso la pastorale con un metodo per far passare ogni ideologia ed ogni eresia al disotto dei radar dell’ortodossia cattolica e della Vera Fede, da gente senza arte né parte che pensa a come sfruttarla per il proprio tornaconto invece che per fare gli interessi di Dio, dai peccati di tutti, dalle profanazioni ritenute “poco gravi”, dal maledetto “dialogo” assurto a panacea di ogni male (con l’effetto collaterale per cui chiunque osi essere fiero della propria religione e la vede come l’unica via ordinaria di salvezza è un pericoloso fanatico ed integralista, sicuramente un superbo), dalla sciatteria liturgica (che altro non è che l’altra faccia della medaglia rispetto alla Dottrina), sembra (e sottolineo sembra) che dall’interno stia avvenendo ciò che i suoi nemici (ed il Nemico per eccellenza, l’Avversario maledetto) si prodigano di fare da sempre: cioè la distruzione, totale e definitiva, della Sposa del Cristo.

Peccato che, in realtà, questa visione pessimistica e non cattolica dei fatti (proprio perché mancante di due cose, cioè della speranza e della fede, dato che Dio non si disinteressa delle vicende umane ma, al contrario, le porta a compimento e finisce per costringere anche il male ad obbedire alla Sua Divina bontà e misericordia) sia falsa. Falsa alla radice, dato che parte dalla stessa analisi della storia dal metro umano, e quindi falso, di coloro che applicano il successo di una istituzione dal numero di adepti ed ignorano Dio, escludendolo dall’orizzonte delle vicende umane. Invece, non è così: a Dio non importa niente dei numeri, tutto è cominciato, a conti fatti, con dodici persone (alcune delle quali pescatori, quindi senza chissà quale istruzione), e Lui non permetterà che le forze degli inferi prevarranno sull’istituzione da Lui formata.

Ciò potrebbe essere vista come la pia speranza di un povero illuso o di un bigotto qual sono, ma non è così. La realtà lo dimostra, e la realtà, a differenza dell’ideologia, non si piega ai desideri di ognuno: se tu non ti adatti ad essa, allora sarà lei a spazzarti via, lentamente o rapidamente ma si può star certi che ciò avverrà. Accade, quindi, che mentre il seminario diocesano della mia città è vuoto, sfornando solo due-tre preti (spesso stranieri, ovviamente) l’anno, ammesso ci siano, questa settimana sono stati ordinati undici (11, eleven, XI) nuovi preti provenienti dal seminario dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote. Istituto che, pienamente cattolico (è bene precisarlo, per evitare accuse di scisma o di sedevacantismo), aderisce con fedeltà e rigore alla Dottrina e celebra la Santa Messa secondo il rito di San Pio V (nella forma riveduta da San Giovanni XXIII). Nessuno di questi nuovi preti verrà impiegato, ovviamente, in parrocchie o riceverà dicasteri o posizioni importanti: troppo scomodi sono, sia perché ricordano che l’ideologia (tipo quella dell’abolizione, abusiva ed imposta, dell’uso liturgico di quella splendida lingua, e splendida proprio perché universale, cioè cattolica, che è il latino) è destinata a morire, sia perché indicano che chi si vuole consacrare non vuole farlo con chi ti dice che, in fondo, tu sia prete o laico è la stessa cosa, tanto basta aspettare il prossimo indulto e ciò che oggi è peccato grave domani non lo sarà più. E, per insistere su questa falsariga (ma si potrebbero fare altri esempi, il cui novero aumenta di continuo), se in Belgio il primate è “costretto” (su ordine dell’ultraprogressista, per non usare altri termini più duri ma forse veri, card. Danneels, peraltro noto copritore di pedofili ma “misteriosamente” membro della corte di Santa Marta) a mandare via una fraternità (la Fraternità dei Santi apostoli) di vita consacrata troppo ortodossa e ligia alla Tradizione per i suoi gusti, per il semplice motivo che in tre (3, three, III) anni dalla fondazione vantavano sei sacerdoti e ventuno seminaristi (di cui un diacono), quando il seminario diocesano di Bruxelles forse in un decennio riuscirà a raggiungere quei numeri, cosa vuol dire se non la fine non del cristianesimo e della Chiesa, ma di una idea di Chiesa e di cattolicesimo?

A questo stiamo infatti assistendo: alla morte di una forma, ideologica (e quindi falsa e corrotta), di Chiesa, ma non della Chiesa. E’ la fine dei giochi per quel ramo protestante, eretico, magari socialista e, proprio perché esclude Dio dall’orizzonte umano, infine ateo, non di tutta la Chiesa, men che meno di quella che considera la liturgia e la Dottrina non dei pesi morti o degli inutili estetismi, ma delle parti di eredità dal Cielo da custodire gelosamente. Come ho detto altrove, ciò a cui stiamo assistendo non è altro che l’incendio purificatore in una foresta ormai secca, devastata dagli insetti e dall’arsura, con gli alberi morti e putrescenti: tutto sembra ormai perduto, ma basta che il fuoco arda perché vuoi tra venti, vuoi tra cinquant’anni dai semi nascosti, che covavano sotto terra (e non potendo, quindi essere raggiunti) dal fuoco, ricresca l’intero bosco, più verde e rigoglioso di prima della morte di quello vecchio. Così è la Chiesa: sia da dentro che da fuori sono convinta che per piegarla ai propri interessi (cioè distruggerla infine, in quanto vorrebbe dire farla deviare dalla missione da cui è stata divinamente istituita) basti “darle fuoco”, vuoi con l’aperta persecuzione, vuoi con la derisione, vuoi con la sostituzione dell’ortodossia con l’eterodossia, della Verità con l’eresia, del Corpo Mistico del Cristo con un generico “popolo di Dio”, vuoi quello che vuoi ma alla fine, in realtà, rinascerà proprio grazie a questo, per giunta rinforzata e più ortodossa, fedele, zelante di prima. Con il rischio, peraltro, che gli stessi appiccatori di incendi finiscano per bruciarsi loro stessi: la Chiesa ha il vantaggio che può aspettare secoli, gli uomini misurano il tempo in anni e prima o poi, tecnica o non tecnica, la fossa aspetta tutti. Ma non la Sposa di Cristo.

Se questa è una chiesa

In questi giorni è stato assegnato il premio “Frate Sole” alla più bella nuova chiesa del mondo. Ecco cosa ha vinto, la Iglesia de Iesu di San Sebastián.

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Praticamente un palazzetto dello sport; a seguire abbiamo la parrocchia di Ka Don in Vietnam, in sostanza una Spa.

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E per finire questo triathlon degli edifici che sono arrivati in cima alla classifica (senza vincere però tale “prestigioso” premio), ecco la chiesa della Santa Trinità di Lipsia, cioè un centro commerciale.

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Ora, se all’interno di questi edifici non fosse custodito il Santissimo, si potrebbero qualificare come chiese? A mio avviso niente affatto, non fosse perché manca una cosa importantissima: qualsiasi tratto che le identifichi come chiese cattoliche! Niente croce esternamente od alcun simbolo cristiano (per l’ipocrita principio di “non offendere chi non crede”, quando chi vuole ciò spesso è lui per primo a non credere), niente pianta tradizionalmente associata ad essa (sia ottagonale, a croce latina o a croce greca), niente affreschi, statue od altro che hanno reso grande l’arte cristiana occidentale. Solo dei tristi palazzetti, frutto probabilmente del desiderio di morte e di dissoluzione di certe chiese locali, che danno in mano ad apostati e non credenti la costruzione di luoghi che dovrebbero essere belli, e dovrebbero essere belli proprio perché dovrebbero incoraggiare alla fede. Questi luoghi, progettati e costruiti così, manco sarebbero usati come edifici civili (specie l’ultimo, che sarebbe osceno anche come magazzino); eppure, certo clero autorizza la costruzione di tali obbrobri religiosi, e certo clero li premia pure! Queste costruzioni sono, d’altro canto, il sintomo della perdita di fede e della generale apostasia che sta vivendo la Chiesa: l’arte sacra scaturisce dalla fede, quindi se non c’è fede non può esistere arte sacra degna di questo nome. Nessuno dice che, nel XXI secolo, le chiese vadano costruite come nell’XI: solo che andrebbero rispettati certi canoni, alla ricerca di un bello che educhi ed innalzi il fedele a Dio e non che sia fine a sé stesso (cosa che qui non esiste neanche), usando magari materiali moderni ma non tradendo l’arte sacra. Perché, sfido chiunque in giro per tali luoghi, a riconoscere a colpo d’occhio che tali edifici siano luoghi di culto cattolici.

Amoris Astutia

Tanto, troppo è stato scritto sulla discussa (e discutibile) Esortazione apostolica Amoris Laetitia in questi mesi. Fiumi di parole, specie dalle due fazioni opposte, i “normalisti” (che insistono a sostenere che niente sia cambiato rispetto a prima, e allora non si capisce a cosa servono oltre 260 pagine di documento) ed i “novatori” (per cui con la scusa della pastorale cambia anche la dottrina, e per sempre), questi ultimi pure assurti (con compiacimento papale) al rango di unici interpreti e situati in posizioni chiave nelle varie Conferenze Episcopali e dicasteri. Tuttavia, non posso esimermi dall’esporre la mia opinione, come cattolico e come uomo.

E’ doverosa una premessa: come ho già scritto in passato, il Papa non ha il potere di cambiare la Dottrina (anzi, qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico, scomunicato de facto e non più degno di essere obbedito), di cui deve essere custode e non “innovatore”; allo stesso tempo, però, per il cattolico non è lecito apostatare dalla Santa Chiesa cattolica, né offendere il ruolo di Pietro o muovere critiche infondate e faziose. Se da una parte il presunto “divieto di critica” alla persona (ma non al ruolo) del Pontefice, di cui ora si ciancia molto in una sorta di nuovo culto della personalità che di cattolico non ha niente, non esiste e non esisterà mai, dall’altra parte azioni e parole del Papa non autorizzano ad alcuno scisma o ad abiurare la fede cattolica (la quale comprende anche la comunione e l’obbedienza al Papa ed al collegio episcopale).

Detto ciò, che cos’è “Amoris Laetitia”? E’ un documento inutilmente lungo e verboso, un testo che può essere vista in un modo o in un altro a seconda di chi lo legge (e lo deve applicare): da una parte conferma la Dottrina di sempre (e Bergoglio, che ben distinguo dalla carica di Pontefice, questo lo sa, e non potrebbe essere altrimenti pena la scomunica), dall’altra si presta a nuove interpretazioni riguardo alla Comunione alle persone in stato di peccato mortale e pubblico scandalo (specificatamente, ma non solo, a divorziati “risposati” e conviventi), che contrastano oggettivamente con quanto asserito nel Nuovo Testamento in materia di disciplina matrimoniale e del rapporto tra l’uomo e la donna. Peraltro, se qualcosa ho sempre ammirato della Chiesa è stata la brevità e la chiarezza dei documenti, anche quelli (fin troppo, ed ingiustamente, vituperati) del Concilio Vaticano II: in al massimo poche decine di pagine viene proclamato e ribadito tutto ciò che c’è da sapere (e da applicare) su un determinato argomento; non così questa Esortazione, lunga allo sfinimento e ricca di giri di parole appositamente per dire e non dire, non disfare (formalmente, il che giova a coloro che in futuro dovranno mettere a posto i pezzi in quell’ermeneutica della continuità tanto cara a Benedetto XVI) e disfare (come già hanno fatto a Bergamo e nelle Filippine).

Quindi, in sostanza, cosa deve fare il cattolico osservante in merito a questo controverso documento? Ignorarlo, dacché non aggiunge nulla di nuovo rispetto a prima (e quindi è sostanzialmente inutile, che forse è persino peggio dello scandalo), o leggerlo alla luce della Dottrina e della Tradizione: le altre opzioni non sono cristianamente percorribili, come non è cristianamente possibile ascoltare le interpretazioni date da certi “teologi” ultraprogressisti come mons. Forte e mons. Kasper.

Conversazione con un giovane comunista

Cronaca di un evento appena accaduto.

Ero a lavare i piatti in cucina, quando sento suonare il campanello. Purtroppo, la finestra di cucina si affaccia sulla porta, quindi nello sporgermi per vedere chi suona non posso fare a meno di essere notato: si tratta di un ragazzo, con un enorme fascio di giornali, che mi vede e mi saluta. Sale rapidamente il giramento di scatole: si tratta del commesso di “Lotta Comunista”, giornale che mio padre si ostina a comprare, senza però nemmeno leggerlo e senza partecipare ai loro incontri (e non incappando nella scomunica quindi). Credo che lo faccia più per una sorta di imprinting, dovuto al tradizionale colore rosso della mia terra natia, o forse per un senso di tenerezza nei confronti di questi avanzi del XIX secolo, che nonostante la loro avversione al cristianesimo si sono ormai ridotti a prenderne spunto per cercare di sostituirsi ad esso (senza riuscirci, dacché il comunismo classicamente inteso è crollato col Muro nell’89, e quel poco che è rimasto si è inculturato in radicalismo di massa, trasfigurandosi), mandando in giro volontari casa per casa con pacchi di giornali per autofinanziarsi. Autofinanziamenti, anche questi, che sostanzialmente vengono divorati nella stampa del loro giornale, in un circolo vizioso che per fortuna ne limita dimensioni ed impatto sulla società.

Comunque sia, stancamente (e tristemente) vado a prendere il portafogli, per dare 10 euro in cambio di un fondo di lusso per la gabbia dei miei pappagalli, apro e saluto. Ovviamente, per prima cosa vengo invitato ad un incontro coi “lavoratori” (quali, e di quale età? Oggigiorno a nessuno di quelli che conosco frega niente dei comunisti, men che meno quelli “rivoluzionari”) in un circolo che nemmeno ricordo.

-No grazie- rispondo – è mio padre che compra questo giornale, io anzi sono di idee politiche notevolmente diverse dalla vostre, non mi interessa.-

Pazienza, dice il ragazzo; comunque sia, mi illustra il contenuto della nuova pubblicazione. Tema centrale: i “migranti” (una volta, cioè fino a due-tre anni fa, si chiamavano clandestini, ma pazienza: potenza del politicamente corretto).

– Gi Stati europei importano forza lavoro dall’Africa e dall’Asia – mi spiega – per sostituire la popolazione di un’Europa sempre più vecchia ed avere un proletariato [che belli questi termini, da lessico comunista vecchio stampo!] che si accontenta di paghe più basse. Questi poveretti si ritrovano proiettati in un sistema capitalista che non conoscono e che li tratta come un mero capitale umano, in cui non hanno i mezzi per essere competitivi: per forza che alla fine emigrano da noi! Allo stesso modo, fa comodo per rafforzare le politiche interne europee: la questione dei confini, per esempio. In effetti, tutte le forze politiche vogliono usarli per proprio tornaconto.-

– Mah- replico io -che questa immigrazione clandestina sia voluta, anzi favorita da certe forze politiche e da certi mercati europei è fuori discussione, come pure che i clandestini siano merce di scambio per la politica: chi vuole accattivarseli perché saranno elettori un domani, e chi vuole accattivarsi gli elettori di oggi. Resta però il fatto che questa crisi demografica è stata voluta, ed incoraggiata, dall’Europa stessa: e lo è stato fatto mediante politiche di controllo famigliare e presunti “nuovi diritti”, che hanno portato alla demolizione della famiglia e della società. In altre parole, chi è causa del proprio del male pianga sé stesso: e tentare di importare nuova forza lavoro, sperando di avere una massa umana da poter controllare quando saranno infine costoro a controllarci, è solo l’ultimo spasmo suicida di un’Europa che ha dimenticato le proprie radici. E poi, questo discorso dell’immigrazione di massa come risposta di popoli “poveri” per cercare condizioni di vita migliori può essere vero fino ad un certo punto per l’Africa subsahariana: in quella settentrionale ed in Medio Oriente, tra il Daesh e i vari governi che opprimono le minoranze, si tratta di profughi che fuggono per ben altre motivazioni.-

-Già, il Nord Africa- risponde – dove in realtà ci sono dietro anche gli interessi di grandi potenze emergenti: Arabia Saudita, Turchia, Emirati. E la religione è solo un pretesto per spararsi addosso gli un gli altri, istigati dalle potenze straniere. Prenda per esempio l’Arabia: fino a cinquant’anni fa non erano niente, ora pagano certi gruppi rivoluzionari [non parla di terrorismo, e non mi sfugge: per il comunista rivoluzionario non esiste terrorismo, esistono rivoluzioni] per fare il lavoro sporco al posto loro coi petrodollari che hanno in abbondanza. E’ come quando- ride- gli Stati Uniti iniziarono la guerra in Iraq per “portare la democrazia”: in realtà è l’Occidente responsabile di avere creato certe situazioni di instabilità.-

-Certo- confermo -ma ritenere che la religione sia solo un pretesto è sottovalutare il problema: l’Islam, nelle sue varie interpretazioni, non è solo una religione, ma un totalitarismo [come quello comunista, mi vien da dirgli, ma mi mordo la lingua]. Ed in certi Paesi sono sempre stati prontissimi a massacrarsi a vicenda e, sempre, anche le minoranze, cristiani in primis. Che l’Occidente abbia la sua fetta di responsabilità su quanto avvenuto in Nord Africa è un fatto: ma allo stesso modo non è che i locali fossero pacifici e tolleranti. Anzi, l’Islam ha sempre fatto della conquista e della lotta al “diverso” il proprio marchio di fabbrica: illudersi che tutto ciò nasca dagli interessi degli americani, o dei governi europei, è sottostimare il problema. Prova ne è il fatto che queste guerre sono fomentate proprio da ricchi, e di nuova fondazione, Paesi islamici, che si lanciano l’uno alla gola dell’altro. Ed è inutile illudersi: quei Paesi non sono democratici e non lo saranno mai, anzitutto perché a loro per primi non importa niente della democrazia: vogliono emiri, re ed imperatori, forme di governo che possono capire.-

Taglia corto: mi lascia il giornale, io gli lascio (a malincuore) dieci euro, mi saluta, ci scambiamo un paio di ultimi convenevoli e poi, borbottando, metto la costosa lettiera dei pappagalli sullo scaffale mentre torno a  lavare i piatti, mentre il ragazzo torna in giro a diffondere il verbo comunista. Verbo che, grazie a Dio, è morto e sepolto e sopravvive solo nella testa di nostalgici e di rivoluzionari da salotto.

Il Catechismo ai tempi di Benigni

Questo Santo Stefano è stato turbato, in maniera affatto misteriosa, dal “regalino” di Natale che la Rai (probabilmente Radiotelevisione Apostati Italiani più che semplice Radiotelevisione Italiana) ha voluto fare ai cattolici del Bel Paese: la replica (di cui non si sentiva affatto il bisogno) dei Dieci Comandamenti letti e commentati da Roberto Benigni.

Premetto che a me, Benigni, personalmente piace: nonostante la sua eterna polemica con la destra italiana, da comico schierato a favore di una certa corrente politica (fenomeno questo proprio però non solo dell’Italia) più che della risata, a me ha sempre fatto ridere. Sarà perché è toscano come me, credo, ed anche perché sicuramente non mi reputo al servizio di qualche particolare corrente politica e, per quanto io possa essere certamente qualificato come uomo di destra (non senza orgoglio da parte mia), mai m’è fregato qualcosa di difendere Berlusconi o i suoi: sempre di esseri umani si tratta, affatto avulsi al vizio ed alle piccinerie (come tutti gli altri uomini del resto). Anzi, per quanto mi riguarda la satira feroce nei confronti di certi personaggi era più che giustificata; il problema, però, è che il ficcare siparietti contro la destra italiana all’inizio degli spettacoli su Dante (tra l’altro che cosa c’entra un comico con Dante, ed ancor di più cosa c’entra l’Alighieri con la situazione politica italiana? Boh…), spettacoli pregni già allora di errori teologici ai limiti dell’eresia tra l’altro (come non ricordare la “bellezza” dello Spirito Santo ritenuto emanazione dell’inconscio umano e non, invece, Persona della Santissima Trinità?), a Benigni non bastava più: quello già lo fa tutta la folta scuderia di “comici” Rai, a partire da personaggi mediocri come Crozza e la Litizzetto che si sono fatti (loro sì) un’intera carriera offendendo i politici di certi schieramenti. No, per fare ascolti  e proporre dei temi “originali” bisogna andare su altro, prendere in giro qualche bersaglio di ben più alto livello rispetto a quattro parlamentari a cui, al netto delle ossessioni radicali e comuniste, non frega niente a nessuno: e cosa c’è di meglio se non attaccare la Chiesa cattolica, “rea” di non rispettare il testo biblico (come se poi il cristianesimo fosse una religione del libro, tra le altre cose) sui Dieci Comandamenti, leggendoli in modo troppo poco “letteralista” (su certi punti, ovviamente, non certo su altri)?

Dicevo, questo Santo Stefano è stato turbato per i commenti estasiati in famiglia a questo nuovo spettacolo, quando in realtà (avendo in casa una catechista) non sarebbe certo dovuta essere questa la reazione. Al che mi sono inalberato, dato che è privo di senso che chi si professa cattolico possa bersi quella roba, dato che 1) il parere di Benigni, con tutto il bene che gli si può volere, è a livello di quello di un privato cittadino, non certo di un catechista e men che meno di un teologo (a patto che questi, ovviamente, seguano la Santa Dottrina e non si mettano ad inventare cose “strane”); 2) nello spettacolo si propagandano messaggi dichiaratamente anticattolici. E’ finita che è stato risposto alle mie osservazioni dicendomi che ero soltanto un “burbero” e che comunque piaceva, al che mi è passata la fame e mi son levato dalle scatole ché non avevo voglia di mettermi a litigare con i miei parenti.

Ad ogni modo, vorrei prendere come spunto le affermazioni anticattoliche (ed in definitiva antibibliche, dacché non ha senso andare contro la Chiesa ignorando a bella posta il Nuovo Testamento, con cui la Sposa del Cristo rilegge il Vecchio) per commentarle assieme a voi; al di là delle parti più o meno valide, infatti, c’erano dei punti molto, molto oscuri e chiaramente polemici contro la Cattolica:

La vera bestemmia è fare violenza in nome di Dio (incluse ovviamente Crociate ed Inquisizione): sebbene la violenza ingiustificata sia effettivamente una blasfemia se fatta nel nome di Dio,  comunque sia rimane il fatto che la bestemmia non è soltanto questo, né che le Crociate e l’Inquisizione (romana suppongo, ché ne sono esistite diverse) si possano qualificare come tali. Infatti, le prime erano di principio (al netto di episodi come il sacco di Bisanzio, condannato infatti anche dal pontefice dell’epoca) guerre di difese dell’Occidente cristiano contro un Islam conquistatore e parecchio violento, l’altra una risposta alle eresie (tutto meno che pacifiche, contrariamente a quanto vuole la vulgata corrente) che flagellavano l’Europa nel XVI secolo. In ogni caso, è chiaro che la bestemmia non è limitata alla violenza in nome di Dio, bensì a tutto ciò che è odio e sfregio a Dio; purtroppo, Benigni pur di far polemica usa due pesi e due misure, quindi a volte “limita” i Comandamenti ad un significato esclusivamente letterale, in altri contesti invece li “amplia” (giustamente, vedasi la frode fiscale che sarebbe un furto come effettivamente è). Peraltro, lo stesso Benigni (da che mi ricordi) sembra “giustificare” in qualche modo la bestemmia come intercalare, quando in realtà anch’essa, fatta in modo inconsapevole o no, era e rimane comunque una blasfemia (e delle più stupide, peraltro, dato che offende il Creatore senza alcuna riflessione).

Dio nel Decalogo vieta che si facciano immagini Sue: vero in parte (in realtà  Esodo 20, 4 mai vieta esplicitamente che siano fatte immagini della divinità, ma solo “di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”), ma questo divieto (come risulta evidente dai versetti successivi) è primariamente contro il culto idolatrico, non certo contro le raffigurazioni di Dio in sé e per sé, ed in ogni caso decade con l’incarnazione del Cristo (che, in quanto Vero Uomo oltre che Vero Dio, può tranquillamente essere raffigurato). Purtroppo, sembra sottendere che le raffigurazioni di Dio nelle chiese siano blasfeme, ma non è affatto vero: blasfema è l’adorazione delle immagini, che la Chiesa difatti non adora ma venera (e non le stesse in quanto tali, ma ciò che rappresentano). Quindi, questa sottolineatura con tutto il contorno di sottintesi è sbagliata, dato che nessun cattolico adora (cioè rende culto) a delle immagini, nemmeno di Dio stesso, e qualora lo facesse comunque sia peccherebbe.

Santificare le feste non significa andare a Messa la Domenica. E qui si legge irrefutabilmente il desiderio di andare contro la Cattolica: se è vero che santificare le feste non è solo andare a Messa la Domenica, noi siamo tenuti a santificare tutte le feste di precetto andando a Messa perlomeno in quei giorni. La differenza è apparentemente sottile, ma sostanziale: nel primo caso sembra che non andando a Messa la Domenica si possano comunque sia santificare (in quale modo non si sa) le feste, nel secondo che per santificare certi giorni dell’anno è necessario andare in Chiesa a rendere culto a Dio. Se è vero che non basta andare a Messa solo la Domenica per santificare certi giorni dell’anno, comunque sia le feste di precetto si possono santificare e festeggiare degnamente solo partecipando alla Messa. Differenza apparentemente insignificante ma sostanziale tra il pensiero cattolico e quello protestante tra l’altro, da cui Benigni attinge fin troppo per il proprio spettacolo purtroppo.

Per il resto, che dire, scelte poco coraggiose e banali: non citazione dell’aborto e dell’eutanasia tra i peccati contro il V comandamento (“convertito” in una sorta di peccato imperdonabile, dato che l’ucciso non potrebbe più perdonare il suo assalitore, quando nulla è impossibile a Dio ed è Lui che perdona e lava primariamente le colpe, non gli uomini) e VI comandamento ridotto ad un mero “non cornificare tua moglie”, con la Chiesa dichiaratamente attaccata su questo (d’altronde, cosa c’è di più innovativo se non accusare la Chiesa di sessuofobia, senza nemmeno provare a capire le sue posizioni dottrinali?). In sostanza, la “colpa” della Chiesa sarebbe proporre una lettura catechistica di questo comandamento troppo restrittiva, senza comprendere che in realtà anzitutto il Cristo stesso amplia il senso del comandamento (e lo ripeto, attaccare la Chiesa ignorando il Cristo è intellettualmente disonesto, oltre che sciocco),  e poi che l’adulterio veterotestamentario aveva un significato in ogni caso più ampio del semplice “non cornificare tuo marito/tua moglie”. Sebbene il senso di questo comandamento (in Esodo perlomeno) fosse primariamente rivolto al preservare la fedeltà coniugale, questo non implica che riguardasse soltanto ciò, né è possibile commentarlo in senso cristiano (o anti-cristiano, in questo caso) senza considerare il Nuovo Testamento e l’insegnamento del Cristo (il quale dice esplicitamente che non è ciò che entra nell’uomo ma ciò che esce dal cuore dell’uomo a renderlo impuro).

Pertanto, un consiglio: se volete studiare e vivere i Dieci Comandamenti sulle tracce del Cristo non guardate lo spettacolo di Benigni, il quale sebbene per lo più dica cose corrette ha cadute di stile (con annesse gravi errori teologici e morali) che lo rendono decisamente mediocre ed inadatto a qualsivoglia catechesi. Sebbene sia certamente più impegnativo, meglio leggersi le omelie di Benedetto XVI sul tema, che sono anche certamente più autorevoli rispetto a quanto è andato in onda sulla Rai. La cosa triste è che la colpa, alla fine della fiera, non è neanche di Roberto Benigni e dela Rai, o almeno non soltanto, bensì da chi pensa che tali spettacoli televisivi siano più autorevoli del Magistero papale ed insegnino il Catechismo agli ignoranti, traendone così falsi insegnamenti.

Buona festa di Maria Madre di Dio!

A scanso di equivoci, questo articolo non è contro il Capodanno: dopotutto, oggi è realmente il primo giorno dell’anno del calendario gregoriano (altro dono della Chiesa a tutto il mondo, peraltro, voluto da papa Gregorio XIII nel 1582 apposta per eliminare tutti i problemi di datazione dell’epoca, inclusi quelli risultati dall’applicazione del vecchio calendario giuliano), ed è giusto e lecito pregare e sperare in un buon 2016, sicuramente migliore dell’anno che ci lasceremo alle spalle. Pertanto, buon anno in Cristo a tutti voi, miei lettori!

Ora che ci siamo augurati un buon 2016 (non nel segno di qualche “moto del cielo” o “buona sorte” imprecisata e paganeggiante ma del Cristo) e ci siamo mangiati (o mangeremo) il tradizionale (e buonissimo) cotechino con le lenticchie, passiamo alle cose più serie, che però molti cattolici dimenticano: oggi è soprattutto, prima ancora che Capodanno, la festa di Maria Madre di Dio. Anzi, è proprio a causa della festa di Maria Theotòkos (“Madre di Dio”, appunto), come la chiamano gli orientali, che papa Gregorio XIII scelse il 1 gennaio come primo giorno dell’anno del suo nuovo calendario. Perché, se bisogna iniziare un nuovo calendario (basato sui calcoli, all’epoca i più avanzati in assoluto, dell’astronomo polacco Niccolò Copernico, alla faccia della leggenda che la Chiesa avrebbe rifiutato i suoi lavori perché in contrasto con il geocentrismo), non farlo iniziando dall’evento cruciale e centrale di tutta la storia, cioè nel fatto che Maria diede alla luce veramente il Cristo, vero Uomo e vero Dio? Mirabile dogma, approvato al Concilio di Nicea e confutante da un lato l’eresia ariana (per cui il Cristo è solo un uomo illuminato, non il figlio di Dio) e dall’altro quella nestoriana (per cui il Cristo non era contemporaneamente Vero Uomo e Vero Dio in una sola Persona della Santissima Trinità, ma esistevano in Lui due persone contemporaneamente, il Verbo ed un uomo illuminato; uno schizofrenico divino, in sostanza), che evidenzia al solito come tramite Maria si possa giungere alla verità sul Suo figlio (se è davvero figlio di Maria significa che è anche Vero Uomo, ma se è Madre di Dio significa che pure è Vero Dio). In altre parole, questo dogma mariano non è fine a sé stesso, né vuole soltanto indicare i singolari privilegi di cui godette la Vergine Maria: al contrario, rimanda sempre al Figlio. Figlio di Dio che non disdegnò, lui creatore, di farsi creatura per amore dell’umanità, amore che lo portò fin sulla croce.

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“Madonna Litta”, Leonardo da Vinci, 1490. Mseo dell’Ermitage, San Pietroburgo.

Tanti auguri per un Santo Natale!

Anzitutto, tanti auguri a tutti per una santa Natività di Nostro Signore Gesù Cristo! Magari a qualcuno piacerebbe un articolo più tagliente, più sferzante, che esplichi meglio le contraddizioni della nostra società per quanto riguarda questa festa (di origine cristiana, checché ne dicano gli ignoranti ed i polemici), ma non si può: non ora, almeno. Il Cristo, il Figlio del Dio vivente, colui che salva e colui che solo può salvare, è realmente nato, è realmente vissuto, realmente si è incarnato ed ha agito (e, quindi, continua ad agire) nella storia: questo è il significato del Natale, una speranza rivolta a tutti gli uomini, una speranza che però non è vana, bensì una certezza, un fatto. Quindi bando alle polemiche ed alle chiacchiere vane: ancora auguri per un Santo Natale a tutti, specialmente a coloro che si lamentano, che augurano “buon Sol Invictus” e simili corbellerie, a coloro che non credono in Cristo!

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“Natività Mistica” – Sandro Botticelli, 1501, National Gallery di Londra

“Laddove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”

 

Ridendo dinanzi al baratro

Non è una novità che dinanzi agli avvenimenti di questi giorni sia facile cadere nello sconforto, e non solo per le solite polemiche sul Presepe (manco si celebrasse la nascita di Adolf Hitler, a questo punto), ma proprio per tutto lo sfacelo di quest’ultimo anno, a partire dal piccolo (cioè da me stesso) per giungere al grande (cioè allo sfacelo generale della Chiesa e, più in generale, della cristianità). Parto in questo viaggio nella lordura dal più piccolo in tutto ciò, cioè io, e rivedo tutto il lerciume che ho fatto, le cose che non ho detto, tutto ciò per cui ho peccato, molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. Per gli impegni presi e non mantenuti, per il male fatto e per il bene non fatto. Per questo e molte altre cose.

Poi alzo lo sguardo e guardo ciò che accade per il mondo (maledetto sia il mondo globalizzato, che permette di venire a conoscenza delle sozzure in tempo reale avvenute in ogni angolo del pianeta!) e mi sento schiacciato: tutto il marciume fluisce, bavoso e stomachevole, e si concentra in questi ultimi giorni dell’anno, tra gente che viene ammazzata in quanto cristiana sotto il malcelato contento dei governi occidentali, tra vescovi (successori, quindi, degli apostoli) e preti (quindi consacrati al Cristo per intero) che fanno a gara a chi (s)vende di più Lui, il Signore, in nome dell’ossequio (vero o presunto) al Pontefice, sino alla polemica (cavalcata da una parte e dall’altra, dal clericalismo più becero che lo considera una merce di scambio per la resa al mondo all’anticlericalismo più radicale che odia e non sopporta nulla del cristianesimo, nemmeno il Bambino nella mangiatoia) di cui parlavo prima sul Presepe. Poi c’è tutto quanto avvenuto il resto dell’anno: le polemiche, i testi scritti di fretta e legittimanti pratiche non cattoliche, la presenza di eretici dichiarati che penetrano, con le loro menzogne (come avevano ragione nel “Medioevo” quando ritenevano l’eresia un virus capace di passare da persona a persona, e di contagiare quelle con gli “anticorpi” meno sviluppati!), sin nei sacri palazzi, diffondendo il loro “verbo” (che altro non è se spirito del mondo condensato ed addolcito) tentando di convertire anche il Pontefice al loro fiele. C’è il Sinodo, tentativo mai abbastanza deprecato e mai abbastanza segreto (o alla luce del sole, dipende dalla prospettiva) di rovesciare i Sacramenti (vero segno della Misericordia di Dio più che di mille discorsi) e la Santa Dottrina a partire dalla Eucaristia (frega niente a certi elementi della famiglia, del divorzio e dei divorziati “risposati”, ciò che conta è ridurre i Sacramenti a meri “simboli” di appartenenza, che quindi non servono a niente). Tu vedi tutto questo, e poi ti rendi conto che stai fissando un grande baratro, che stai ormai guardando la tenebra nel burrone finché non realizzi che anche quel buio ti sta osservando, di rimando. Dovresti temerla, quell’oscurità, dato che sai che è terribile e senza fondo e che, inesorabile e paziente, vuole solo divorarti.

E poi ridi.

Ridi non perché sei impazzito, non perché l’amarezza sta mutandosi nell’isteria inframmezzata da lacrime e follia, no, ridi di gioia, ridi di gusto e sinceramente e te ne freghi del fiele, delle tenebre e di tutto il resto: ridi perché tutto era già stato scritto. Ecco la prova irrefutabile, il segno per eccellenza che i Vangeli “c’avevano preso” e con loro tutti i più grandi mistici e mistiche: lo sfacelo in cui viviamo non solo è un “segno dei tempi”, indice dello schifo in cui versiamo, con una parte (consistente) della Chiesa che amoreggia col mondo (che ne vuole la dissoluzione, non certo ascoltarla, men che meno lasciarsi guidare da lei), ma è prova provante di tutto ciò per cui hai sempre combattuto; per la fede, innanzitutto, e poi per la vita, per gli altri. Senza scadere in millenarismi da setta da quattro soldi (Dio me ne scampi e liberi, ché il giorno e l’ora li conosce solo Dio Padre!), senza scadere in sedevacantismi, scismi, eresie e chi più ne ha, più ne metta, ché tanto son tutte cose che uccidono l’anima senza nemmeno rendersene conto, ti accorgi finalmente che stiamo toccando il fondo; e dico “finalmente” perché, una volta toccato il fondo verso cui da 500 anni (anniversario che ci toccherà festeggiare, anzi che festeggeranno dacché io non prenderò parte proprio ad un bel niente, tra 2 anni, alla faccia dell’ortodossia e dei Sacramenti) si stava inesorabilmente precipitando, non potremo fare altro che risalire. E allora ridi, di gioia e di liberazione.

Ridi perché conosci la storia: sai cosa accadde con l’arianesimo, sai che il mondo era come oggi, diviso fra l’eresia e la persecuzione, tra un cesaropapismo paganeggiante ed un Papa indeciso, che non sapeva dove andare perché sembrava che i seguaci di Ario, ormai, avessero trionfato ovunque e schiacciato tutti, anche Cristo stesso, sotto il loro tacco. Sai che bastarono tre persone (San Benedetto, Sant’Atanasio e San Nicola) per riportare il Pontefice sulla giusta rotta, pacificare l’Impero, far cessare le persecuzioni e far morire l’arianesimo nei suoi stessi rifiuti con il più grande Concilio della storia, odiato e temuto da tutti i modernisti proprio per questo motivo. E tutto questo in realtà lo puoi ricondurre, alla fine della fiera, se sai leggere tra le righe della storia e dell’agire umano, all’azione di una sola Persona, nemmeno di tre: Gesù Cristo.

Ridi perché sai che quando Satana pensa di avere vinto è solo questione di tempo perché Dio lo sbugiardi e lo riveli per ciò che è: cioè una scimmia che crede di poter essere Re.

Quindi per tutto questo, in un viaggio che parte dal mio cuore indurito per andare a trovare voi, miei lettori, e continua salendo (o scendendo, che dir si voglia) fino agli incalliti anticristiani ed ai furiosi clericali, passando anche per gli eretici e  dagli scismatici, per i violenti in parole ed atti, da tutti gli uomini insomma, conscio che anche coloro che vogliono il male sono costretti a servire il Bene, non posso che dire ed augurare una sola cosa a tutti quanti, ai giusti ed agli ingiusti, ai buoni, ai mediocri ed ai cattivi, a tutti gli uomini insomma: buon Natale del Signore, che Lui ci benedica e porti presto a termine questo tempo di tribolazione.

“Gioisci, figlia di Sion,/ esulta con tutto il cuore, Israele,/ e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Sion!” (Sofonia 3,14)

 

Islam e Occidente: le vanità del politicamente corretto

Dopo i recenti attentati di Parigi, si è levato immediatamente un coro di voci pronto a condannare tali violenze, usando come corollario il fatto che “i terroristi non erano veri islamici”. Questo, detto da un mondo che non si è mai fatto scrupolo di accusare la Chiesa cattolica di ogni balla gli venisse in mente ma che, per paura e per convenienza economica, non si fa scrupolo di essere servile nei confronti dei musulmani, fa solo ridere.

Fa solo ridere per diverse ragioni: anzitutto, perché nello stesso Corano ci sono incitamenti alla violenza ed alla conquista, se non con le armi perlomeno culturale (e non solo religiosa), del proprio vicino per espandere le terre dell’Islam. Se consideriamo che tale religione è stata fondata proprio da un conquistatore bramoso di impadronirsi delle proprietà altrui, ciò non stupisce affatto. Certo, molti hanno detto che anche nel Vecchio Testamento ci sono molteplici incitamenti alla violenza in nome di Dio (ed è vero), ma nessuno si è soffermato sul fatto che, a parte i cristiani che leggono il Vecchio Testamento alla luce del Nuovo (e che, quindi, condannano le guerre di conquista e di rapina, anche in senso culturale), nemmeno i moderni ebrei giustificano i conflitti usando la Torah. Poca roba, si dirà; eppure, perché gli ebrei moderni non sono dei guerrafondai come gli islamici? Perché non reputano lo sterminio dei popoli vicini un modo per affermare la loro religione e la loro identità culturale? La risposta è semplice: perché per quanto (per esempio) lo Stato d’Israele non si sottragga certo dai conflitti armati, in cui anzi è talvolta fin troppo felice di gettarcisi a capofitto, l’esegesi e la storiografia ebraica hanno fatto passi da gigante negli ultimi duemila anni, specie in seguito alla diaspora che ha costretto un numero elevato di giudei a confrontarsi con un cristianesimo forte e dominante, confronto facilitato dalle modalità stesse con cui gli ebrei (e i cristiani) si approcciano ai testi sacri. E’ tutta lì la differenza: la Bibbia è sì parola di Dio ma scritta dagli uomini, col linguaggio e la pedagogia propria del tempo in cui è stata composta, non è un dettato (contraddittorio, peraltro, ma questo non causa alcun problema alla razionalità dei maomettani evidentemente) proveniente da Allah ma bensì l’esplicitazione di verità morali, teologiche e religiose lungo una pedagogia della salvezza durata circa dieci secoli (e anche di più, se consideriamo la tradizione pre-biblica che nessuno nega). Questo l’Islam, semplicemente, non può ammetterlo, dato che il Corano è un dettato (secondo loro) a Maometto da parte di Allah per mezzo dell’arcangelo Gabriele, quindi esprimente non solo verità (peraltro contraddittorie, lo ribadisco, dato che esistono sure successive che si oppongono a quelle scritte in precedenza) indiscutibili ma anche precetti  e leggi da applicare pedissequamente e senza spazio (o quasi) di manovra; leggi che comprendono anche la conquista del prossimo ed il passare a fil di spada (in senso letterale o metaforico) gli infedeli, naturalmente. Può essere messa in discussione la loro applicazione dunque, ma in sostanza nessun islamico potrà mai dire che un terrorista applica “in maniera falsa” il Corano o che è un “eretico”, dal momento che 1) non esiste nessuna autorità centrale nell’Islam, quindi tutti hanno diritto a dire quello che vogliono basandosi su una lettura più o meno fondamentalista del libro di Maometto senza tema di smentita e 2) che essendo il Corano non “parola di Dio” ma “dettato di Allah”, ciò che è scritto è irrefutabile e chi lo applica fino in fondo applica semplicemente la volontà di Allah.

Quindi, posto il fatto che non esiste l'”Islam moderato” (cioè lo pseudo-Islam che vorrebbero gli occidentali), ma soltanto singoli musulmani di buona volontà (che scelgono di accantonare parti della legge coranica per seguire il loro cuore, che magari dice loro che reputare tutti gli infedeli dei porci per cui è prevista solo l’uccisione, la sottomissione o la conversione è sbagliato), ne consegue che anche le reazioni dei maomettani stessi in seguito alle operazioni paramilitari (dato che chiamare attentati, come pure quelli avvenuti a gennaio, dei blitz con uso di armi da guerra e ben coordinati da una rete d’intelligence estremista che conta diverse decine se non alcune centinaia di fanatici distribuiti tra vari Paesi europei e con contatti direttamente in Siria ed in Libia, è sminuire e negare gravemente il problema) avvenute in Francia sono state nel migliore dei casi tiepide, in certi casi addirittura esistono filmati che provano dei tentativi raffazzonati di giustificazione da parte di certuni: per i carnefici naturalmente, non certo per le vittime (anche se alcune di queste ad onor del vero stavano partecipando ad uno spettacolo a sfondo satanista, cosa che però non ne giustifica il massacro). Questo perché a fronte di due minoranze, quella più consistente degli islamici radicalizzati (milioni in tutto il mondo e che occupano le posizioni che contano) e quella degli islamici di buona volontà (molti meno senza dubbio), c’è una forte maggioranza, istituzionalizzata in Occidente, di “moderati” che non appoggiano direttamente la sharia e la jihad, bensì che aspettano solo di vedere da che parte tira il vento per schierarsi dalla parte del vincitore. In altre parole, non frega loro niente se coloro che reputano infedeli vivono o muoiono, frega solo che le terre dell’Islam si diffondano; se poi agli infedeli è permesso di vivere, magari senza tasse oppure no, a loro non importa niente, ciò che conta è solo il quieto vivere.

Che cosa fare, quindi? Le soluzioni, se si volesse attuare, come ho già detto mesi fa in merito ai primi attacchi a Parigi, sarebbero semplici ma sicuramente comprometterebbero i rapporti con certi Paesi e, soprattutto, con le loro mai abbastanza maledette riserve petrolifere: introduzione del reato d’odio per coloro che se la prendono con apostati dell’Islam, con le donne e che anche solo propagandano l’affermazione (per via democratica o meno) della sharia in Europa, con pene fino a dieci anni di carcere e/o l’espulsione immediata (per gli islamici non cittadini europei) oltre a quelle previste per il reato in questione; divieto di predicare, leggere ed acquistare il Corano in lingue diverse da quella nazionale, e divieto assoluto di fondare scuole coraniche in cui si predica e s’insegna in arabo; divieto per le moschee di ricevere finanziamenti e di investire fondi nei Paesi arabi, in special modo in stati integralisti ed assolutamente intolleranti nei confronti dei cristiani quali Arabia Saudita, Qatar, Eritrea, Iran ed Afganistan; rimpatrio forzato dei clandestini non aventi diritto d’asilo e blocco dei nuovi arrivi non autorizzati dalle coste africane; estirpazione armata manu (prevista, peraltro, anche nel Catechismo in quanta fatta in difesa dei fratelli nella fede e dei luoghi santi, rispettivamente massacrati e distrutti dai fanatici) di ogni gruppo, istituzionalizzato o meno, che predica e diffonde l’odio e la guerra in nome di Allah. Purtroppo, queste misure sono di difficile attuazione, dato che andrebbero ad irritare proprio in nuovi partner economici dell’Occidente, partner che mai hanno nascosto le loro simpatie e le loro smanie di conquista; dato che mala tempora currunt e non esiste una politica estera ed interna realmente mirante a rendere la vita difficile all’Islam, specie a quello più fondamentalista ed integralista, non è possibile allo stato attuale mettere in atto certe contromisure.

Purtroppo, la verità alla fine è una ed è molto semplice: chi vorrà vedere nel Corano una giustificazione alla violenza potrà sempre farlo, e nessuno potrà mai dire che la sua interpretazione, viste le premesse ermeneutiche dell’interpretazione dei musulmani, potrà mai negarlo. Al contempo, l’Occidente, stritolato tra relativismo culturale (che porta alla negazione delle sue radici, cristiane in primis) e politicamente corretto velenoso ed oppressivo, non è certamente in grado di opporsi a quelle che, senza tema di smentita, si possono definire le nuove guerre di conquista islamiche.

Quel che il Papa non è (o è)

Scrivo questo post per chiarire alcune cose che ormai si sentono in giro, e che sembrano voler minare la Santa Dottrina attribuendo al Santo Padre poteri e diritti che, in effetti, non ha. Chiedo a voi, lettori, di perdonarmi se questo articolo potrà sembrare “banalotto” ad alcuni, ma è necessario ribadire sempre la Dottrina della Chiesa di sempre, per essere più consapevoli del ruolo del Vicario del Cristo e combattere facili clericalismi (o anticlericalismi).

Il Papa non è il successore di Cristo. Sempre più spesso si sente dire che il Papa è “il successore di Cristo”, ma questa proposizione, oltre ad essere teologicamente scorretta, è intrinsecamente sbagliata: il Romano Pontefice, infatti, è il vicario di Cristo, non una Persona della Santissima Trinità o una “reincarnazione” del Nazareno. Vocabolario Treccani alla mano, il vicario è “chi esercita un’autorità o una funzione in sostituzione o in rappresentanza di altra persona di grado superiore. Con questo valore è stato, nell’antichità e nel medioevo, titolo di funzionarî e pubblici ufficiali”. Quindi, in altre parole, il Papa fa le veci del Cristo ed esercita la sua autorità temporaneamente ed in assenza (fisica) del Signore, non certo è un Suo successore. Casomai, il Pontefice è successore di Pietro, il che però è ben diverso.

Il Papa non può “inventare” dogmi (e, va da sé, non può cambiare o annullare dogmi). Quella del Papa che può “inventarsi” i dogmi è una palese bugia, dura tuttavia a morire e che, anzi, sta divenendo sempre più radicata: il Papa, infatti, ratifica ed afferma i dogmi di fede, i quali però non sono invenzioni della sua mente, frutto di una elaborazione teologica o dottrinale più o meno dotta, bensì devono essere in armonia con la Dottrina (quindi la Scrittura, la Tradizione ed il Magistero precedenti) e devono basarsi sull’assunto del “ciò che sempre ed in ogni luogo è stato creduto”; in altre parole, il dogma è una constatazione di una realtà spirituale e morale, non un’astrazione frutto di un semplice ragionamento umano bensì una realtà concreta frutto della Verità rivelata, quindi eterna, immutabile e preesistente all’affermazione stessa del dogma (quindi, per fare un esempio, l’Immacolata Concezione non “inizia” nell’Ottocento, ma si tratta semplicemente del prendere atto di una verità di fede creduta fin dall’inizio ma all’epoca soggetta a disputa teologica e, nei fatti, sempre esistita). Allo stesso modo, dato che (come abbiamo visto) il Papa non è successore del Cristo (e quindi un nuovo signore del Sabato, quindi legislatore divino) e non può inventare dogmi, allo stesso modo non può neppure negare le verità in materia di fede e di morale; qualora lo facesse sarebbe eretico e scismatico e, Codice di Diritto Canonico alla mano, scomunicato.

Il Papa non è un semplice “primus inter pares”. Sebbene il Papa sia (anche) il vescovo di Roma, non è semplicemente un vescovo “più potente”, con maggiori ruoli decisionali e di responsabilità: si tratta infatti pur sempre del vicario del Cristo, colui che ha il compito di confermare i fratelli nella Fede (quindi, di ribadire la Santa Dottrina e di proporla, diversa nel linguaggio ma uguale nel contenuto in quanto eterna, nei diversi tempi) e che è infallibile nei pronunciamenti ex cathedra (cioè quando esercita il suo ruolo di Pastore e di Dottore Universale della Chiesa cattolica) in materia di fede e di morale. Quindi non solo il Pontefice ha il compito di dirimere le dispute all’interno dell’episcopato, ma anche di indicare la via della fede e di ribadire ciò che in ogni tempo ed in ogni luogo è stato creduto nella Chiesa cattolica. La tendenza a considerare il Papa come un semplice “super-vescovo” non appartiene, infatti, alla Chiesa, bensì deriva dall’ambiente ortodosso (che, con la sua sinodalità, rifiuta la presenza di un’autorità centrale e riconosce soltanto patriarchi più o meno autorevoli e basta) o protestante (in cui perlopiù proprio non esiste una figura di riferimento, nemmeno all’interno delle singole confessioni).

Il potere del Papa non è assoluto. Come si è visto, il potere del vescovo di Roma (specie in materia di fede e di morale) non è assoluto quindi, bensì sottostà a precise limitazioni di natura teologica e morale. Quindi, se il Pontefice è per definizione un monarca assoluto in quanto sovrano della Città del Vaticano, nella realtà è vincolato a ben precisi obblighi e doveri, specialmente per quanto concerne il suo ministero particolare.

I pronunciamenti del Papa non sono tutti infallibili o magisteriali. Se è vero che il Magistero straordinario (i dogmi in materia di fede e di morale) è infallibile, quindi sempre vero e da tutti deve essere creduto ed obbedito, e che il Magistero ordinario è comunque sia merito di riverenza e di ubbidienza (sebbene non sia necessariamente corretto o infallibile), tutto ciò che esula da questo contesto (specialmente per quanto riguarda interviste, libri ed insegnamenti quale “dottore privato” e non come Dottore Universale della Chiesa) di conseguenza non appartiene al Magistero petrino. Pertanto tutto ciò che esula dal magistero petrino (quindi sostanzialmente ciò che va oltre le encicliche, i pronunciamenti ex cathedra, le lettere pastorali o la predicazione orale), pur con tutta l’obbedienza ed il rispetto che deve essere tributato al vicario del Cristo, può essere legittimamente ed educatamente criticato, senza per questo doversi sentire (o essere) meno cattolici o scomunicati. Questa osservazione è rivolta a coloro che ritengono, specie in ambienti clericali, che l’autorità del Papa sia illimitata e che, quindi, sia necessario obbedire supinamente a qualsiasi dichiarazione (spesso riportata da fonti non ufficiali) del Pontefice, quando in realtà non è vero.

Il Papa non deve piacere al mondo. Quest’ultimo punto vuole essere di critica a coloro che giudicano il “successo” di un papato in base a quanto piace o non piace alla gente: a prescindere dal carisma e dalla personalità di ciascun Pontefice, non è questo il metro di paragone. Il Papa, infatti, è vicario del Cristo, e quindi tanto più sarà riuscito a confermarei fratelli nella fede ed a indicare la retta Dottrina (svolgendo quindi non solo i compiti propri dell’episcopato, a cui ancora appartiene, ma anche quelli propri del ministero petrino) tanto più avrà avuto successo; il mondo, infatti, di suo è dominio di Satana, e non vuole altro che la dissoluzione della Chiesa cattolica. Più importante del l’approvazione del mondo è, per qualunque cattolico, la ricerca di quella di Dio, e questo vale ancor di più per il Pontefice; pertanto, non ci si può basare su criteri mondani per definire il “successo” o il “fallimento” di un papato, ma quanto questo è stato attinente al suo ministero. In sostanza, il compito del vicario del Cristo non è quello di piacere al mondo, ma quello di confermare i fratelli nella Fede e di fare le veci del Signore in attesa del Suo ritorno, Signore che fu crocifisso proprio dal mondo e che il mondo vuole vedere annientato.